Rifare un giornale: il caso del Washington Post
Il giornale di Jeff Bezos e la gestione di una transizione politica e di paradigma culturale
«Caro Jeff Bezos,
Se stai leggendo questo vuol dire che sai già tutto. Lascio il Washington Post per aprire una mia azienda».
Dave Jorgenson, conosciuto come “TikTok guy” del Washington Post, è solo l’ultimo di un numero cospicuo (e crescente) di firme e di personalità a lasciare il giornale di proprietà di Bezos. Lascia la direzione del canale TikTok del giornale per dedicarsi a tempo pieno alla sua Local News International, media company e agenzia di comunicazione.
Ma cosa succede al Washington Post? Perché se ne stanno andando tutti?
La terza redazione
Nella notte del 2 giugno 2024, una domenica, la redazione del Washington Post riceve una mail che comunica un piano di ristrutturazione interna. Il 4 giugno, dopo le dimissioni della prima direttrice editoriale del giornale Sally Buzbee, il publisher (scelto personalmente da Bezos) William Lewis e il nuovo direttore editoriale Matt Murray indicono una riunione per spiegare ai giornalisti della testata le specifiche di questi cambiamenti.
Il piano prevede la divisione della redazione in tre diversi reparti: una dedicata alle news, una ai pezzi di opinione e una “terza redazione”, che avrebbe riportato direttamente a Lewis, chiamata a sperimentare nuovi linguaggi (social, video, ecc.) e nuove modalità di monetizzazione dei contenuti1.
Alcuni giornalisti presenti alla riunione riportano che Lewis avrebbe motivato la scelta con un «la gente non vi legge, bisogna fare qualcosa».
E in effetti «il sito del Post aveva 101 milioni di visitatori unici al mese nel 2020, ed era sceso a 50 milioni alla fine del 2023. Il Post ha perso, secondo quanto riportato, 77 milioni di dollari»2 nel 2023.
Un cambio di rotta editoriale
Le perdite però non si sono fermate lì.
Nel 2024 il deficit è aumentato di un ulteriore 30%, arrivando a perdere 100 milioni di dollari3. I ricavi pubblicitari sono scesi da 190 a 174 milioni di dollari.
A peggiorare la situazione si sono aggiunte alcune scelte editoriali impopolari.
Il 28 ottobre 2024, poco prima del voto che avrebbe riportato Donald Trump alla presidenza, Jeff Bezos pubblica sul proprio giornale un editoriale in cui difende la scelta del giornale (presa pochi giorni prima) di non sostenere pubblicamente alcun candidato alla presidenza.
A fine febbraio 2025, poi, Bezos ha inviato una comunicazione interna ai dipendenti delineando una nuova impostazione per le pagine Opinioni: la sezione avrebbe dovuto da lì in poi scrivere quotidianamente in difesa di due soli “pilastri” – le libertà personali e il libero mercato – e le opinioni in contraddizione con questi principi non avrebbero più trovato spazio sul Post4.
In risposta a questo riposizionamento del giornale oltre 250.000 abbonati (circa il 10% del totale) hanno cancellato il loro abbonamento digitale.
Complessivamente, il numero di utenti paganti online è sceso dai circa 3 milioni del periodo post-2016 a circa 2,5 milioni nel 2024.
Il malcontento dei giornalisti
Oltre alle perdite finanziarie, il Post ha dovuto registrare una crescente insoddisfazione in alcune parti del suo organico e una crescente ondata di allontanamenti, volontari e indotti.
Il 15 gennaio di quest’anno, è stata divulgata5 una lettera inviata a Bezos a firma di 400 dipendenti del Washington Post in cui si dicevano «profondamente allarmati».

Siamo profondamente allarmati dalle recenti decisioni della leadership che hanno portato i lettori a mettere in discussione l’integrità di questa istituzione, hanno rotto con una tradizione di trasparenza e hanno spinto alcuni dei nostri colleghi più illustri a lasciare, con altre partenze imminenti.
Per tutta risposta, qualche tempo dopo, William Lewis ha incoraggiato i dipendenti «che non si sentono allineati con i piani dell’azienda» ad accettare incentivi all’uscita (buyout).

I giornalisti hanno tempo fino al 31 luglio per accettare i termini di questa separazione volontaria, secondo Axios.
Le firme che hanno lasciato
Lascio qui come intermezzo una breve lista non esaustiva delle personalità di spicco che hanno lasciato il giornale a partire dal 2 giugno 2024:
Ann Telnaes – vignettista premio Pulitzer, se ne è andata in segno di protesta dopo la censura di una sua vignetta critica nei confronti di Bezos/Trump, a gennaio 2025.
Ruth Marcus – opinionista storica, ha lasciato a marzo 2025 a causa della nuova linea ideologica imposta da Bezos.
Eugene Robinson – anche lui opinionista di lungo corso, ha lasciato ad aprile 2025 citando lo stesso cambiamento ideologico.
Joe Davidson – columnist della rubrica Federal Insider per 17 anni; ha abbandonato alla fine di giugno 2025 per protestare contro politiche editoriali restrittive .
David Shipley – vicedirettore delle opinioni; ha lasciato dopo l’email interna di Bezos che indirizzava la sezione verso una linea libertaria/pro-business. È stato sostituito da Adam O’Neal.
Molly Roberts – membro del board delle opinioni; annunciò l’uscita il 28 ottobre 2024.
Jonathan Capehart – opinionista e vincitore del Pulitzer; ha accettato un buyout e lasciato il 21 luglio 2025.
Philip Bump – columnist noto; ha lasciato il giornale con buyout prima di Capehart .
Eduardo Porter – opinionista, ha annunciato l’addio il 23 luglio 2025 definendo la sezione delle opinioni “dogmatica”.
Leigh Ann Caldwell – reporter di lungo corso passata alla newsletter Puck.
Josh Dawsey – cronista passato al Wall Street Journal.
Ashley Parker e Michael Scherer – due reporter di punta che sono passati a The Atlantic a fine 2024, citando del disagio interno.
Taylor Lorenz – giornalista tech, ha lasciato il Post nell’ottobre 2024 dopo una controversia su post privato su Instagram.
Cosa vuol fare questo giornale?
Oltre la cronaca, pur avvincente, di questi sommovimenti interni ed esterni a una delle testate giornalistiche più note sul pianeta, il punto di questa ricostruzione è quello di provare a capire quali grandi rimodulazioni informative stanno in qualche modo trasformando il panorama giornalistico americano (prima di arrivare da noi).
Perché, per esempio, è interessante vedere come figure molto note come Taylor Lorenz o Dave Jorgensen scelgano di lasciare un’istituzione come il Washington Post e di non rientrare nell’establishment giornalistico, ma lanciarsi in progetti imprenditoriali e giornalistici alternativi, oppure come figure di giornalisti tradizionali come Leigh Ann Caldwell finiscano a lavorare per outlet molto poco convenzionali come Puck.
La risposta che questa proprietà del Washington Post sta cercando di dare alle nuove sfide del mondo dell’informazione è duplice: come abbiamo visto è editoriale, proponendo una transizione centrista o comunque tecnocratica, un po’ come il nostro Corriere, per riaffermare l’imparzialità dell’informazione, o almeno questo è quello che sostiene Jeff Bezos; ma è anche una risposta di prodotto, cioè un ampliamento dell’offerta informativa del giornale attraverso alcune soluzioni più o meno tecnologiche.
WP Ventures: il braccio armato del content (forse)
La cosiddetta “terza redazione” anticipata da William Lewis è diventata una unit produttiva denominata WP Ventures.
A meno di un anno dal lancio, Krissah Thompson, che dirigeva il progetto, ha accettato l’ultimo programma di uscita volontaria offerto dal Post e lascerà l’azienda alla fine del mese.
L’uscita di Thompson e la sua sostituzione con Samantha Henig coincide con la «prossima fase di WP Ventures», che sarà completamente separata dalla redazione del giornale, perché «il settore è cambiato», come si apprende da un memo interno divulgato da Fox News.
«Un anno fa ci siamo posti l’obiettivo di comprendere e rispondere alle dinamiche in evoluzione dell’informazione, in particolare fuori dalle piattaforme proprietarie e nell’ambito del mondo dei creator. Abbiamo lanciato ufficialmente WP Ventures a gennaio, con un focus su reach, rilevanza e ricavi: espandere la nostra presenza sui social media e creare nuove opportunità commerciali, soprattutto per il giornalismo dedicato a consumi e lifestyle. Anche mentre portavamo avanti questo progetto, il settore ha continuato a cambiare».
«È diventato chiaro che, per operare in modo davvero efficace in questo nuovo contesto, dobbiamo raddoppiare gli sforzi sull’idea originaria: creare un terzo spazio accanto — ma al di fuori — della redazione e della sezione Opinioni.
Per questo, la prossima fase di WP Ventures sarà sviluppata separatamente dalla redazione del Washington Post».«Guardando al futuro, ci concentreremo completamente sulla creazione di contenuti e format basati su figure riconoscibili, costruendo vere e proprie franchise attorno a personalità legate a temi d’interesse per il nostro pubblico di riferimento: i Confident Strivers (persone ambiziose e sicure di sé), con forti potenzialità commerciali.
Questo potrà includere audio, video, newsletter ed eventi. Adotteremo in modo responsabile l’intelligenza artificiale per raccontare e promuovere storie in nuovi modi, su nuove piattaforme e su larga scala».
In soldoni, quello che sembra profilarsi è una specie di casa di produzione di contenuti digitali e non, slegata dalla redazione giornalistica, con un focus su «il giornalismo dedicato a consumi e lifestyle», quindi temi come moda e food. In un modo non molto diverso dalla diversificazione, più soft, cui si sta dedicando il New York Times.
Ripple, ovvero tutti reporter
Sul piano del prodotto giornalistico, William Lewis ha avviato nel 2024 una serie di iniziative volte ad espandere l’audience e ad aumentare il coinvolgimento dei lettori.
La principale è il progetto Ripple, pensato per rivoluzionare la sezione degli editoriali e opinioni. Secondo un articolo del New York Times, il Washington Post potrebbe presto permettere anche a autori non professionisti di inviare articoli di opinione, grazie a un coach di scrittura basato sull’intelligenza artificiale chiamato Ember.
L’obiettivo dichiarato è moltiplicare il volume di contenuti d’opinione per attirare un pubblico molto più ampio di quello abituale del Post, uscendo dalla nicchia delle élite delle coste e raggiungendo anche «l’America profonda».
La proprietà stima che questo approccio potrebbe intercettare fino a 38 milioni di lettori adulti – un numero enormemente superiore agli abbonati attuali – ampliando la rilevanza nazionale del giornale e creando nuove opportunità di monetizzazione pubblicitaria.
Ember «potrebbe automatizzare diverse funzioni normalmente svolte dai redattori umani», incluso un sistema che valuta la “forza” della storia, indicando quanto il pezzo stia funzionando o meno.
Il tool include anche una barra laterale che mostra gli elementi fondamentali del testo, come: una tesi iniziale, gli argomenti di supporto alla tesi, una conclusione memorabile.
Inoltre, gli autori avrebbero accesso a un assistente AI, che li aiuterebbe con spunti narrativi e domande di sviluppo per migliorare l’articolo in fase di scrittura.
Secondo quanto riportato, i testi verrebbero comunque revisionati da editor umani prima della pubblicazione, che avverrebbe al di fuori della tradizionale sezione Opinioni del giornale6.
From the Source, il diritto di replica
Parallelamente, il Post sta sperimentando nuove forme di partecipazione interattiva per coinvolgere maggiormente i lettori e le fonti.
Poco tempo fa, ha annunciato una funzione innovativa chiamata From the Source, pensata per dare voce alle persone citate negli articoli.
In sostanza, From the Source permette a una fonte (ad esempio un esperto o un testimone intervistato in un pezzo) di annotare e commentare direttamente l’articolo dopo la pubblicazione.
In pratica: ai soggetti menzionati in un articolo viene inviato un link speciale che consente loro di leggere il pezzo e di aggiungere un proprio commento o precisazione; tali annotazioni, una volta approvate dal team audience del Post, diventano visibili ai lettori passando il cursore sul nome della fonte nel testo, oppure in calce nell’area commenti dedicata.
Una macchina da notizie che va ad AI
Nel novembre 2024 ha debuttato Ask The Post AI7, un chatbot sperimentale che permette agli utenti di porre domande e ricevere risposte generate dall’AI attingendo però esclusivamente dagli articoli pubblicati dal Post.
A fine 2024 la testata ha integrato l’AI anche nella sezione commenti del proprio sito, generando automaticamente brevi riassunti delle discussioni tra lettori e suggerendo domande per stimolare conversazioni costruttive.
Questo genere di funzioni – insieme ad altre come la narrazione audio automatizzata degli articoli o il sommario dei punti chiave di una notizia – punta a rendere più dinamica e personalizzata la fruizione dei contenuti, adeguandola alle abitudini digitali degli utenti.
Questi strumenti sono parte integrante del piano di Bezos di fare del Post «una piattaforma informativa alimentata dall’intelligenza artificiale»8.
In questa storia si mescolano molte altre storie, tanto che è difficile districarle.
Quanto dello sforzo della proprietà sia mero opportunismo politico e quanta parte sia invece sincero trasporto per, o quantomeno fiducia in, un modello di giornalismo e di editoria è difficile a dirsi.
Dopotutto, di tutti i modi che Bezos avrebbe per ingraziarsi Trump questo sembra proprio quello più complicato e forse improduttivo, data la famosa insensibilità di Trump per la carta stampata, quando non si tratta della cover del Time Magazine o la prima pagina del New York Times9. Ma è anche vero che a Bezos piacciono le sfide.
Cosa deve fare un giornale che ha smesso di crescere (ben prima della svolta editoriale imposta da Bezos)? Quali sono gli strumenti per rimanere rilevanti e anzi crescere?
Come si fa a creare un equilibrio virtuoso costruendo sui tre pilastri individuati dall’aggiornamento della mission10 del Washington Post «grande giornalismo», «consumatori felici» e «fare soldi»?
Come può cambiare il prodotto editoriale che si vende? Quali punti di forza ha ancora e quali debolezze lo rendono obsoleto o indigesto?
Abbiamo finito, se sei arrivato fin qui, grazie, molto gentile.
Come al solito, se la prossima volta chiedi a ChatGPT di farti il riassunto, io son felice lo stesso. L’importante è il pensiero.
Se vuoi discutere con me di quel che ho scritto (o del tempo), puoi scrivermi in dm su instagram o mandarmi messaggi minatori sulla mail.
ibidem
The Washington Post Is Limping Into Trump’s Second Term, Wall Street Journal, 10 gennaio 2025
Washington Post opinion editor departs as Bezos pushes to promote ‘personal liberties and free markets’, Guardian, 26 febbraio 2025
‘Deeply alarmed’: Washington Post staff request meeting with Jeff Bezos, Guardian, 15 gennaio 2025
The Washington Post is planning to let amateur writers submit columns — with the help of AI, The Verge, 4 giugno 2025
The Washington Post’s New Mission: Reach ‘All of America’, New York Times, 16 gennaio 2025 (in inglese suona meglio: «an A.I.-fueled platform for news»)
Per avere una finestra sulla dieta mediatica di Trump consiglio i libri di Michael Wolff su di lui, sono anche belli da leggere, secondo me.
Il medium preferito di Trump rimane la televisione, e tutto ciò che gli arriva della carta stampata, che non legge, è ciò che viene filtrato dal suo entourage, che spesso edulcora o censura articoli negativi sul presidente.
The Washington Post’s New Mission: Reach ‘All of America’, New York Times, 16 gennaio 2025